Quello delle case chiuse è un tema che in questo periodo sta tornando alla ribalta, ammesso che sia mai stato accantonato. A dimostrazione di ciò vi è il fatto che dallo scorso agosto, in molti comuni italiani, era possibile firmare una petizione per la riapertura delle case della tolleranza nel nostro paese. Anche nell’ultima puntata de Le Iene, come accade frequentemente, è stato mandato in onda un servizio riguardante le moderne “case chiuse”. Stavolta si trattava di un night club la cui proprietaria svolgeva clandestinamente l’attività di maitresse ricevendo dalle ragazze, alle quali concedeva in fitto alcune stanze del locale, parte dei profitti che esse ottenevano come compenso per le prestazioni sessuali. Questo tipo di luoghi è sempre stato diffuso in Italia fino al 1948, anno in cui la neoeletta socialista Lina Merlin diede il via alla sua lotta contro la prostituzione legalizzata. La senatrice fu aiutata, prima, dall’entrata a far parte della nostra nazione nell’ONU, che obbligava gli stati aderenti a mettere fuori legge la prostituzione, e poi da Mario Scelba, allora ministro degli interni, che, proprio da quell’anno, smise di concedere la licenza per l’apertura delle case del piacere. Ci vollero circa nove anni affinché il disegno di legge completasse il percorso necessario per essere approvato: nel 1958 la prostituzione e le strutture adibite a tale attività vennero messe definitivamente fuori legge. Il decreto fu accompagnato da non poche critiche, in particolare da parte di coloro che, con lungimiranza, previdero che tale attività non solo si sarebbe potuta riversare nelle strade e nelle zone malfamate delle città, ma che lo Stato avrebbe perso il controllo sulle ragazze, costrette a lavorare sui marciapiede ed esposte a sfruttamento e rischi sanitari che si sarebbero inevitabilmente riversati sui clienti. La prostituzione era già diffusa nell’antichità, in particolar modo a Roma, dove le ragazze, registrate con uno pseudonimo, praticavano tale attività nei cosiddetti “lupanara”, i quali potevano essere aperti solo di notte e dovevano essere situati fuori città. Caligola, approfittando dell’afflusso di clienti, pensò di introdurre una tassa per chi praticasse quel mestiere. La frequentazione di questi luoghi fu tanto ampia che l’Imperatore Domiziano, durante i festeggiamenti per la vittoria sui germani, fece lanciare gettoni per una “consumazione” nei lupanara. Anche nelle epoche seguenti l’amore a pagamento rimase molto apprezzato dai cittadini. Basti pensare che nel XV secolo esso era considerato legale sia nel Regno delle Due Sicilie che nella Serenissima Repubblica di Venezia e che successivamente, dal 1861, con la nascita del Regno d’Italia, tale pratica fu conservata ed estesa a tutto il neonato Regno. Durante il Fascismo, poi, il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, emanato il 18 Giugno 1931, obbligava le ragazze a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e a sottoporsi a controlli medici periodici per evitare la diffusione di malattie trasmissibili sessualmente. In questi anni particolare attenzione era riservata a studenti e militari. Nelle case del piacere, infatti, venivano applicati sconti non trascurabili a queste due categorie e, tra l’altro, anche ai “giovinotti di primo pelo”, come recitava il famoso prezzario della casa “Sora Gemma”. Si può quindi dire che fu dopo il Fascismo che i sedicenti “progressisti” giudicarono la pratica della prostituzione moralmente inaccettabile, tanto da metterla definitivamente fuori legge. Tuttavia, oggigiorno, la prostituzione non è certo stata eliminata, e per molti questa è una cosa intollerabile. Grave, in realtà, è che essa viene portata avanti sui marciapiedi delle periferie e delle strade statali da ragazze, provenienti prevalentemente dall’Est Europa, che sono sfruttate dalla malavita, la quale le fa lavorare in condizioni igieniche a dir poco inaccettabili mettendo a repentaglio non solo la loro salute, ma anche quella dei loro frequentatori. Ciò vuol dire che le ragazze costrette a svolgere tale attività saranno eternamente sfruttate dalle organizzazioni criminali, mentre quelle che esercitano questa professione per scelta non possono ovviamente aprire una partita IVA e sono pertanto impossibilitate a emettere fattura,. Insomma, in un periodo storico nel quale i governi cercano qualsiasi modo per battere cassa, tassando tutto e tutti, la soluzione è davanti agli occhi e non è certo, come sostengono alcuni, la legalizzazione delle droghe, che, paradossalmente, da un punto di vista economico avrebbe l’effetto contrario, in quanto si dovrebbero coprire i costi sanitari prodotti dal consumo di stupefacenti. Per concludere, contro la crisi e Le Iene, che chiedono ergastoli e pene di morte alle giovani professioniste e ai loro clienti, c’è solo una cosa da fare: regolamentare la prostituzione e rendere nuovamente l’Italia un faro di civiltà per gli altri paesi!
Cioppi Cioppi