«Immolando Cesare, Bruto ha obbedito a un pregiudizio educativo che aveva appreso nelle scuole greche. Lo assimilò a quegli oscuri tiranni delle città elleniche che, col favore di qualche intrigante, usurpavano il potere. Non volle vedere che l’autorità di Cesare era legittima perché necessaria e protettrice, perché era l’effetto dell’opinione e della volontà del popolo»
Così parlò Napoleone Bonaparte riferendosi a Giulio Cesare che, proprio in questo giorno del 44 a. C., venne assassinato con ventitre coltellate da coloro che si proclamarono “liberatori della Patria”, salvo poi essere costretti a fuggire e a nascondersi dalla rabbia di quel popolo che, per anni, aveva amato il discendente della Gens Iulia e ne aveva apprezzato l’operato.
Alle Idi di Marzo, giorno di festa dedicato a Marte, dio della guerra, finì dunque Cesare dando nuovamente inizio a lotte interne che, sembrava, fossero finalmente cessate grazie al suo operato. Eppure così non era stato dal momento che, nell’ombra, vili e rancorosi avevano architettato a lungo l’omicidio del dittatore.
Caio Giulio Cesare nacque a Roma il 13 Luglio del 100 a.C. ed era di origine nobiliare. Secondo la tradizione, poteva vantare tra i suoi avi Anco Marzio, quarto Re di Roma, e Iulo, il figlio di Enea, discendenti dalla dea Venere. In quel periodo, in città, vi erano forti conflitti tra gli Optimates, nobili e conservatori che avevano annoverato tra le proprie fila personaggi come Catone il Censore, e i Populares, aristocratici e tribuni del popolo tra i quali si era schierato anche Caio Mario, zio di Cesare che all’epoca ricopriva la carica di Console.
Gli anni dell’adolescenza di Cesare furono segnati dalla guerra civile tra Silla e Caio Mario: Silla una volta sconfitta la fazione dei Populares, venne proclamato dittatore e Cesare, a quel tempo diciottenne e da poco sposato con Cornelia, in quanto nipote di Mario, fu costretto a prestare costanti attenzioni per non essere catturato e ucciso dagli uomini di Silla. Decise dunque di allontanarsi da Roma per un periodo arruolandosi e militando come Legatus in Asia Minore contro Mitridate.
Qui diede una prima prova della propria capacità militare e diplomatica quando venne rapito dai pirati: Questi gli chiesero un riscatto di 20 talenti d’argento, ma Cesare beffandoli, ne promise loro 50 pur di aver salva la vita. Inviò dunque dei messi per procurarsi la somma che giunse dalla città di Mileto e, in breve tempo, ne permise la liberazione. Una volta libero, Cesare partì, proprio dal porto di Mileto, assieme ai suoi uomini in cerca dei suoi rapitori. Cogliendoli di sorpresa, ne catturò la maggior parte, li crocefisse e recuperò le ricchezze che i pirati, avevano accumulato nel tempo con assalti e rapimenti.
Nel 78, alla morte di Silla, Cesare fa ritorno a Roma iniziando una rapida e gloriosa carriera politica che lo portò, nel 72 ad essere eletto Tribuno Militare, uno dei gradi più prestigiosi dell’esercito Romano. Solo tre anni dopo, in concomitanza con la morte della moglie, Cesare viene eletto Questore e, successivamente, tra il 65 e il 61, consegue prima il grado di Edile (magistrato) e poi quello Pontefice Massimo.
Nel 61 a.C viene poi eletto Pretore e, in previsione delle elezioni per il consolato che si sarebbero tenute l’anno seguente, Cesare stipula un accordo con Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso: il primo è un abile generale che ha riportato molte vittorie specialmente nelle regioni orientali ed è da tempo rappresentante degli Optimates, mentre Crasso è uno degli uomini più ricchi di Roma ed è da tempo in conflitto con Pompeo per questioni interne alla loro fazione. Questo accordo, chiamato dagli storici Triumvirato, viene ufficializzato da un matrimonio: Cesare dà in sposa sua figlia Giulia, avuta con la defunta moglie Cornelia, a Pompeo.
Tramite questo accordo Cesare riuscì ad ottiene il Consolato, la carica pubblica più importante nella Roma dell’epoca, e, una volta terminato l’incarico, l’anno seguente ricevette il compito di nuove campagne militari in Gallia.
Questa regione era abitata da popolazioni celtiche, divise in tribù, che erano continuamente in conflitto con le popolazioni germaniche stanziate al di là del Reno. Cesare riportò innumerevoli vittorie in pochi anni, riuscendo anche a sconfiggere le tribù alleate e condotte da Vercingetorige, e ad arrivare addirittura a toccare le sponde britanniche.
Nel frattempo in Patria, Pompeo, approfittando della morte di Crasso, ucciso dai Parti che – ironia della sorte – gli versarono dell’oro fuso in gola, si accordò con il senato per prendere il potere. A questi tuttavia rimase ancora da affrontare Cesare che, amato dal popolo e stimato dai propri «Commilitoni», come egli stesso era solito definirli, aveva colto le intenzioni dei nemici di Roma.
Questi, mossi da meri interessi economici e dalla brama di potere, per contrastarlo, lo richiamarono a Roma ordinandogli di sciogliere l’esercito e di far ritorno da privato cittadino.
Messo con le spalle al muro, a Cesare resta una sola strada da intraprendere: entrare con l’esercito in Italia, proteggere la sua gente e liberare Roma e l’Italia dai traditori del popolo. Il 10 gennaio del 49 a.C iniziò dunque una nuova e sanguinosa guerra civile che vide schierati, da una parte, Cesare con i suoi soldati, e, dall’altra, Pompeo e i suoi alleati, spinti da interessi personali.
Pompeo, intimorito, decise dunque di darsi alla fuga abbandonando l’Italia a Cesare che, divenuto dittatore, fece approvare una massiccia quantità di provvedimenti per salvare una Roma travolta dalla crisi economica. Il conflitto non si poté comunque considerare concluso fino a quando, il 9 Agosto 48, in seguito a numerose battaglie, la guerra terminerà con la vittoria di Farsalo. Battuto, Pompeo cercò rifugio in Egitto dove trovò la morte per mano di un sicario di Tolomeo XIII e Potino, regnanti dell’epoca che speravano di conquistare così i favori di Cesare. Quando questi giunse sulle coste d’Egitto, Tolomeo offrì lui la testa dell’antagonista. Cesare si infurò facendo decapitare Pontino, autore materiale dell’omicidio, per aver osato uccidere quello che, nel bene o nel male, era comunque un importante cittadino romano. Da qui, il condottiero, avviò delle campagne in Egitto che culmineranno con l’affido della provincia a Cleopatra, con la quale avrà anche un figlio, Cesarione.
Tornato a Roma, Cesare riceve la dittatura di 10 anni, carica che nessuno prima di lui aveva conseguito, e poi, due anni dopo, la dittatura a vita. In questo periodo continuò sempre a fare gli interessi del Popolo e della Patria, mosso dai medesimi ideali che lo avevano animato nella gioventù, nelle campagne militari e nella guerra ai traditori di Roma. Fu forse proprio per queste ragioni che un gruppo di una sessantina di cospiratori, guidati da Caio Cassino Longino, Decimo Bruto Albino e Marco Giulio Bruto, figlio dello stesso Cesare, decisero di eliminare il dittatore in nome di millantate “Libertà Repubblicane”. Libertà che, nei fatti, essi stessi avevano contribuito ad affossare con i loro comportamenti.
Fu così che, come già detto, il 15 marzo del 44 a.C., poco prima di una nuova campagna militare programmata da Cesare, la congiura prese atto: convocato in senato, Cesare venne ripetutamente pugnalato.
Fu dunque questa la fine di Caio Giulio Cesare, padre della Patria, condottiero, difensore di Roma e della sua Libertà, Uomo ineguagliabile. Risulta difficile anche solo immaginare cosa avrebbe potuto ottenere un genio sconfinato come Cesare se i vili non lo avessero prematuramente sottratto alla storia, ma ci basta pensare come, ancora oggi, centinaia di migliaia di persone portino anche solo un fiore in omaggio alla sua statua a Roma. Un segno evidente che gli Dei non muoiono mai.
Steiner