(a cura di Antonio – L’Uroboro)
10 marzo, 20 anni senza Massimo Morsello.
Senza la sua figura umana e politica, che in questo ventennio chissà quanto avrebbe creato, inventato e donato ad un intero ambiente. Che ha saputo, anche quando lontano dai confini nazionali, riunire un mondo nel momento in cui era sotto attacco fisico diventando un punto di riferimento comunitario, e che lo ha fatto poi rinascere facendolo rifiorire anche grazie alla sua poesia, tracciando un solco che ancora oggi seguiamo, cantando le sue parole.
Figlio di genitori anticomunisti (padre italiano, madre bulgara), iniziò la sua militanza da giovanissimo come da prassi in quegli anni, e nei primi giorni di attività politica fu immediatamente coinvolto in scontri di piazza. Tornato a casa, scrisse con ancora l’affanno e il cuore a mille “il battesimo del fuoco”. La sua storia politica e musicale iniziava già camminando a braccetto.
È soprattutto la sua figura artistica che ci manca, quella che ha fatto crescere centinaia di ragazzi raccontando una storia fatta di fratelli caduti, di militanza sotto assedio, di esilio, di ritorno in Patria.
Racconterà che nei giorni della grande caccia alle streghe contro l’ambiente della destra radicale, quelli del processo NAR 1 che incarcerò decine di ragazzi giovanissimi con l’accusa di terrorismo, si trovava in una casa al mare quando sua madre gli telefonò per dirgli che la polizia lo aveva cercato da loro. “Sentii immediatamente il rombo delle Alfette che stavano arrivando anche lì. Misi giù il telefono e scappai appena in tempo dalla finestra. E lì cominciò la mia latitanza durata 19 anni”. Morsello conobbe la galera anche in Inghilterra, prima che venisse rifiutata la richiesta di estradizione all’Italia, e conobbe la paura di un nuovo esilio nell’esilio quando l’estrema sinistra inglese chiese la sua espulsione dal paese, che per fortuna non avvenne. Perfino il Cile di Pinochet si sarebbe rifiutato di accoglierlo in quel caso.
Provate ad ascoltare ora “Figli di una frontiera” e pensateci.
Visse di stenti i suoi primi anni da ospite forzato in terra straniera, e tra mille lavori prima di ottenere fortuna con una sua impresa, continuò a scrivere canzoni, raccontando una storia, quella dei proscritti, con rabbia e malinconia ma anche col sorriso e la presa di coscienza di chi sa che il proprio destino è fatto di grandezza. “Noi leggiamo ciò che è scritto nel cielo, noi conosciamo il linguaggio della terra, eppure nessuno ha mai voluto parlare con noi”, “facci largo, siamo noi a sorridere al tuo sogno. Facci strada col tuo sguardo, te ne parleremo noi.” Ecco come Massimo rende poesia ciò che ho provato a dire poco sopra.
Non ricordo chi delle figure storiche militanti degli anni ’70 disse che una canzone vale più di mille volantini, ebbene Massimo Morsello è lì ancora oggi ogni giorno in piazza a volantinare, a parlare a chi in questo deserto di rassegnazione e smarrimento ha ancora orecchie e occhi liberi e voglia di costruire qualcosa di imperituro e conquistare mete elevate, scintilla per chi decide di accendere un fuoco nella propria vita.
Vorrei terminare con altre sue parole che risultano come l’ennesimo lascito prezioso per noi.
Quando gli chiesero quale messaggio avrebbe lasciato ai suoi figli disse “quello di non rinunciare. Se c’è qualcosa in cui si crede non si può lasciare perdere. Vanificherebbe l’idea di un’esistenza dignitosa.” E alla domanda se credesse davvero nella rivoluzione, disse “Un militante non dovrebbe mai porsi questa domanda. E se dovesse darsi una risposta negativa, dovrebbe pensare che ciò non fa altro che aggiungere romanticismo alla sua scelta.”
Massimo è sempre lì, “a 500 metri dalle stelle” a raccontare “quanto è bella la vita per me e la mia gente”.
Ascoltiamolo quando tutto sembra crollarci intorno e facciamolo conoscere ai nuovi e riscoprire ai vecchi . Troveremo tutti un nume tutelare dell’Idea.
Mi scuso per i tanti virgolettati, ma era giusto raccontare anche con le sue stesse parole la storia del suo essere esempio e bandiera.
Per sempre grazie Massimo. A Noi.
